Vittorio Gassman Alessandro Manzoni - dall'Adeclhi atto 2 scena 3- Lyrics
            MARTINO
        
            Dio gli accecò. Dio mi guidò. Dal campo
            Inosservato uscii; l'orme ripresi
            Poco innanzi calcate; indi alla manca
            Piegai verso aquilone, e abbandonando
            I battuti sentieri, in un'angusta
            Oscura valle m'internai: ma quanto
            Più il passo procedea, tanto allo sguardo
            Più spaziosa ella si fea. Qui scorsi
            Gregge erranti e tuguri: era codesta
            L'ultima stanza de' mortali. Entrai
            Presso un pastor, chiesi l'ospizio, e sovra
            Lanose pelli riposai la notte.
            Sorto all'aurora, al buon pastor la via
            Addimandai di Francia. - Oltre quei monti
            Sono altri monti, ei disse, ed altri ancora;
            E lontano lontan Francia; ma via
            Non avvi; e mille son que' monti, e tutti
            Erti, nudi, tremendi, inabitati,
            Se non da spirti, ed uom mortal giammai
            Non li varcò. - Le vie di Dio son molte,
            Più a__ai di quelle del mortal, risposi;
            E Dio mi manda. - E Dio ti scorga, ei disse:
            Indi, tra i pani che teneva in serbo,
            Tanti pigliò di quanti un pellegrino
            Puote andar carco; e, in rude sacco avvolti,
            Ne gravò le mie spalle: il guiderdone
            Io gli pregai dal cielo, e in via mi posi.
            Giunsi in capo alla valle, un giogo ascesi,
            E in Dio fidando, lo varcai. Qui nulla
            Traccia d'uomo apparia; solo foreste
            D'intatti abeti, ignoti fiumi, e valli
            Senza sentier: tutto tacea; null'altro
            Che i miei passi io sentiva, e ad ora ad ora
            Lo scrosciar dei torrenti, o l'improvviso
            Stridir del falco, o l'aquila, dall'erto
            Nido spiccata sul mattin, rombando
            Passar sovra il mio capo, o, sul meriggio,
            Tocchi dal sole, crepitar del pino
            Silvestre i coni. Andai così tre giorni;
            E sotto l'alte piante, o ne' burroni
            Posai tre notti. Era mia guida il sole;
            Io sorgeva con esso, e il suo viaggio
            Seguia, rivolto al suo tramonto. Incerto
            Pur del cammino io gìa, di valle in valle
            Trapassando mai sempre; o se talvolta
            D'accessibil pendio sorgermi innanzi
            Vedeva un giogo, e n'attingea la cima,
            Altre più eccelse cime, innanzi, intorno
            Sovrastavanmi ancora; altre, di neve
            Da sommo ad imo biancheggianti, e quasi
            Ripidi, acuti padiglioni, al suolo
            Confitti; altre ferrigne, erette a guisa
            Di mura insuperabili. - Cadeva
            Il terzo sol quando un gran monte io scersi,
            Che sovra gli altri ergea la fronte, ed era
            Tutto una verde china, e la sua vetta
            Coronata di piante. A quella parte
            Tosto il passo io rivolsi. - Era la costa
            Oriental di questo monte istesso,
            A cui, di contro al sol cadente, il tuo
            Campo s'appoggia, o sire. - In su le falde
            Mi colsero le tenebre: le secche
            Lubriche spoglie degli abeti, ond'era
            Il suol gremito, mifur letto, e sponda
            Gli antichissimi tronchi. Una ridente
            Speranza, all'alba, risvegliommi; e pieno
            Di novello vigor la costa ascesi.
            Appena il sommo ne toccai, l'orecchio
            Mi percosse un ronzio che di lontano
            Parea venir, cupo, incessante; io stetti,
            Ed immoto ascoltai. Non eran l'acque
            Rotte fra i sassi in giù; non era il vento
            Che investia le foreste, e, sibilando,
            D'una in altra scorrea, ma veramente
            Un rumor di viventi, un indistinto
            Suon di favelle e d'opre e di pedate
            Brulicanti da lungi, un agitarsi
            D'uomini immenso. Il cuor balzommi; e il passo
            Accelerai. Su questa, o re, che a noi
            Sembra di qui lunga ed acuta cima
            Fendere il ciel, quasi affilata scure,
            Giace un'ampia pianura, e d'erbe è folta,
            Non mai calcate in pria. Presi di quella
            Il più breve tragitto: ad ogni istante
            Si fea il rumor più presso: divorai
            L'estrema via: giunsi sull'orlo: il guardo
            Lanciai giù nella valle, e vidi... oh! vidi
            Le tende d'Israello, i sospirati
            Padiglion di Giacobbe: al suol prostrato,
            Dio ringraziai, li benedissi, e scesi.
        
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